Vincenzo Fasano[1]

Il condominio, come lo conosciamo noi oggi in Italia, è un istituto relativamente giovane, disciplinato in maniera sistematica a partire dall’entrata in vigore del nostro codice civile del 1942[2].

In realtà, già nel diritto romano[3], vigeva una forma antica di condominio, la communio ovvero la contitolarità del diritto di proprietà fra due o più persone, derivante dal libero accordo dei condòmini o per cause estranee alla loro volontà[4]. Il condominio, però, era uno stato anormale della proprietà e, come tale, considerato sfavorevolmente. L’espressione latina «communio est mater rixarum» (la comunione è madre delle liti) ci fa comprendere quanto saggiamente il diritto romano ne favorisse lo scioglimento[5].

Anche prima di assumere la denominazione e la regolamentazione che conosciamo noi oggi, il condominio fu sempre oggetto di analisi da parte della giurisprudenza perché foriero di infiniti problemi fra condòmini, qualunque fosse la loro estrazione sociale e culturale. La tematica condominiale fu affrontata anche dal Tribunale Apostolico della Rota Romana che, nella sua attuale riorganizzazione[6], ne emise una prima sentenza durante il periodo della Grande Guerra.

Ne fu estensore mons. Séraphin Many, all’epoca ancora uditore della Rota Romana[7], che il 2 giugno 1916 risolvette con sentenza un’intricata questione patrimoniale avente ad oggetto uno stabile sulle cui unità, afferenti a diversi proprietari, gravavano altresì diritti reali nascenti da contratti, quali l’uso, l’usufrutto e l’abitazione[8]. In tale contesto, l’estensore accennò ad elementi relativi alla tematica che oggi si suole definire diritto condominiale. Ai nostri fini, analizzeremo la cosiddetta pars in iure ovvero i principi giuridici posti alla base della decisione.

Pur richiamando inizialmente una definizione classica di proprietà[9], sulla scorta delle analisi del giurista cattolico Contardo Ferrini[10], la sentenza ricorda i limiti che il diritto romano poneva alla proprietà

privata[11], per poi volgere la propria attenzione alla nozione di comunione per cercare di regolarizzare gli aspetti condominiali, stante l’assenza all’epoca di riferimenti codiciali nelle principali legislazioni europee. Sulla base della sensibilità dell’epoca, pertanto, si focalizzò l’attenzione sulle sole parti comuni in proprietà indivisa[12], portando come esempio la speculazione del diritto romano sullo schiavo in comproprietà a più persone.

La possibilità che più individui risultassero contemporaneamente proprietari di uno o più beni era un’eventualità nota già dall’antichità, in forma non dissimile da quanto si verificava all’interno di un nucleo familiare alla morte del pater familias (eredità). Come già rammentato, il diritto romano conobbe anche la comunione su un singolo bene, segno evidente che già allora si riconoscevano benefici economici all’esercizio collettivo del dominium. Il consortium, che inizialmente era contraddistinto dalla titolarità di ognuno su ciascun elemento del patrimonio, si trasformò col tempo in un altro tipo di comunione, in cui ognuno era titolare solo di una quota ideale di patrimonio, e perciò da solo non poteva disporre dell’intero[13]. Si

ritiene verosimile che accadde altrettanto per la comunione di un singolo bene, a proposito del quale mons. Séraphin Many, l’estensore della sentenza, cita un importante passaggio del giurista romano Domizio Ulpiano:

Servus communis sic omnium est non quasi singulorum totus, sed pro partibus utique indivisis, ut intellectu magis partes habeant quam corpore.

Il servo comune è così di tutti, non come se fosse tutto dei singoli, ma per parti del tutto indivise, come se avessero parti in senso intellettuale, più che corporale[14].

Attraverso la fonte romana, si volle pertanto significare che nessun condomino poteva disporre dell’immobile, o di qualche sua parte, senza il consenso degli altri, sebbene risultasse libero di alienare o porre altri diritti reali su quanto di sua immediata pertinenza, risultando così che il diritto dei singoli condomini era ristretto dal diritto degli altri condomini[15].

La sentenza del Tribunale Apostolico della Rota Romana, redatta da mons. Séraphin Many nel 1916, si sforza di individuare il giusto equilibrio tra il diritto esclusivo di proprietà, per se stesso assoluto, illimitato ed intangibile, e le esigenze pubbliche e della vita sociale nell’ambito di riflessione della potestà giudiziaria che, come rammentò Pio XII, è «parte essenziale ed una necessaria funzione del potere delle due società perfette, la ecclesiastica e la civile»[16].

[1] Professore presso la Facoltà di Dritto canonico della Pontificia Università S. Tommaso D’Aquino in Urbe e Avvocato del Tribunale Apostolico della Rota Romana.

[2] Emanato con il Regio decreto 16 marzo 1942, n. 262, simbolicamente entrato in vigore il 21 aprile 1942 in riferimento alla data convenzionale della fondazione dell'antica Roma, costituisce la principale fonte del diritto civile italiano. Cf. A. La Torre, Diritto civile e codificazione. Il rapporto obbligatorio, Giuffrè, Milano, 2006, pp. 57-63.

[3] Con l’espressione “diritto romano” si indica l’ordinamento giuridico vigente durante i tredici secoli della storia di Roma, dalla tradizionale fondazione dell'Urbe (754 a.C.) alla morte dell'imperatore Giustiniano (565 d.C.). Cf. C. Sanfilippo, Istituzioni di diritto romano, Rubettino, Soveria Mannelli, 2002, pp. 15-17.

[4] C. Sanfilippo, Istituzioni di diritto romano, op. cit., pp. 199-200: «Il condominio può derivare dal libero accordo di due o più soggetti [...] o da cause estranee alla volontà dei condomini [...]. Nel condominio vero e proprio, che ha ad oggetto una cosa indivisa [...], ciascun condomino non ha una proprietà limitata ad una parte della cosa comune, né ha una parte della proprietà sull’intera cosa. Egli ha piuttosto l’intero diritto di proprietà sull’intera cosa; ma poiché egual diritto hanno gli altri condomini, i diversi diritti di proprietà, eguali e concorrenti, si limitano reciprocamente: ne deriva una divisione in quote ideali, rapportate al valore dell’oggetto, che determina la possibilità di esprimere il diritto del condomino con una frazione avente per denominatore (quando non vi sia differenziazione di quote) il numero di condomini».

[5] Cf. C. Sanfilippo, Istituzioni di diritto romano, op. cit., p. 201.

[6] Il Tribunale della Rota Romana è un dicastero della Curia romana che funge da tribunale ordinario della Santa Sede. Con l’occupazione di Roma del 1870, la Rota interruppe la sua attività, ma fu rimessa in funzione il 29 giugno 1908 da papa Pio X. Cf. G. Sciacca, I Tribunali della Sede Apostolica, in Memorie e rendiconti (Accademia di Scienze Lettere e Belle Arti degli Zelanti e dei Dafnici), Serie V, Vol. VI, Acireale 2007, in particolare pp. 39-46.

[7] Mons. Séraphin Many (nato a Gespunsart, nel dipartimento delle Ardenne, il 30 ottobre 1847 e morto a Fiesole il 15 agosto 1922), fu un prete cattolico della diocesi di Reims, ordinato nel 1871. Fu un importante canonista, uditore rotale dal 1908, decano dal 1920 al 1921. Cf. F. Beretta, Monseigneur d’Hulst et la science chrétienne: portrait d’un intellectuel, Beauchesne, Paris, 1996, p. 407, n. 2; C. Dickès, Dictionnaire du Vatican, Éditions Robert Laffont S.A., Paris, 2013, s.v. “Auditeurs (la Rote) et Juges”; C. Robles Muñoz, El modernismo religioso y su crisis. La condena (1906-1913), vol. II, ACCI, Madrid, 2017, p. 226.

[8] Coram Many, sent. diei 2 iunii 2016, in Sacrae Rotae Romanae Decisiones, vol. VIII, pp. 159-172.

[9] Coram Many, sent. diei 2 iunii 2016, op. cit., p. 161, n. 2: «Dominium seu proprietas est ius re utendi fruendi, de eaque disponendi ad libitum, cum exclusione aliorum».

[10] Contardo Ferrini (Milano, 4 aprile 1859 - Verbania, 17 ottobre 1902) fu un accademico e giurista italiano, oggi venerato come beato dalla Chiesa cattolica. Così lo ricordò Pio XII in occasione della sua beatificazione il 14 aprile 1947 con riferimento alla sua produzione scientifica: «Egli, che secondo la esortazione della Sacra Scrittura aveva cercato il sapere, adempiva anche l’altra parola dei Libri Santi: «Vir sapiens plebem suam erudit, et fructus sensus illius fideles sunt», L’uomo sapiente istruisce il suo popolo, e i frutti della sua scienza sono durevoli […]. Ricca fu la messe che il nostro Beato produsse e raccolse come frutto del suo studio e del suo lavoro. In venti anni appena uscirono dalla sua penna oltre duecento pubblicazioni di carattere scientifico, fra cui opere di alta e durevole importanza; le quali tutte -anche quelle di minor mole- portano il sigillo della sua mente chiara, della sua vastissima cultura, della sua instancabile applicazione. Là voi trovate, accanto ad articoli su manoscritti inediti e su questioni particolari di diritto civile, ampie trattazioni circa le fonti e la storia del diritto romano, commenti alle Pandette e al gius penale romano, soprattutto poi quelle edizioni critiche delle fonti di diritto romano-bizantino, che resero il nome del Ferrini celebrato nel mondo scientifico» (Pius XII, Ad christifideles qui Romam convenerant ad beatificationem Contardi Ferrini celebrandam, in Acta Apostolicae Sedis 39 [1947], p. 348). Cf. C. Pellegrini, Vida de Contardo Ferrini, Editorial Difusión, Buenos Aires, 1943.

[11] Coram Many, sent. diei 2 iunii 2016, op. cit., p. 161, n. 2: «Sed hoc dominium plenum et perfectum, seu plena proprietas, tripliciter limitari aut restringi potest, ut ait C. Ferrini. Pandette, n. 336, scilicet: 1° Si in eadem re concurrat aliud dominium, nimirum in casu condominii; 2° Si ipsa lex hanc aut illam restrictionem statuat, v.g., in casu vicinitatis, expropriationis pro utilitate publica, etc; 3° Si, in vim certorum factorum, aliqua ex his facultatibus quae dominium constituunt, in tertium transferatur, v.g., si in aliqua re constituatur ususfructus, usus, servitus, etc.». Il testo della sentenza richiama espressamente, ma cita liberamente, C. Ferrini, Manuale di Pandette, Società Editrice Libraria, Milano, 1908, pp. 443-444, n. 336, che in realtà così si esprime in proposito: «Già abbiamo veduto, come la proprietà possa venire limitata in molte maniere: queste limitazioni non ne distruggono il concetto, poiché virtualmente si mantiene la piena estensione, che si afferma in atto ipso iure, non appena che la ragione del limite sia venuta a mancare. Le limitazioni della proprietà non ponno consistere che in inversioni dei due elementi, di cui essa consta (quello di pertinenza e quello di signoria): si tratta dunque di ciò, che è tolta o limitata la tutela dell’interesse che ha il domino, che un terzo sia escluso o che egli stesso possa liberamente disporre della cosa. Ogni limite importa quindi un pati (tollerare) od un non facere: evidentemente vi ha una contraddizione logica nell’ammettere limitazioni in faciendo. La potenza dei limiti è molto varia; ma la loro natura è analoga. Essi derivano da tre diverse ragioni: 1.° Dal concorso di un’altra proprietà sulla stessa cosa. 2.° Da una diretta disposizione del diritto oggettivo. 3.° Da fatti che trasferiscono totalmente o parzialmente in un terzo la tutela di qualcuno degli interessi, in cui si determina l’universale signoria sulla cosa (iura in re aliena)».

[12] Coram Many, sent. diei 2 iunii 2016, op. cit., p. 161, n. 3: «Contingere potest ut eadem res ad plures dominos pertineat. Non quod singuli condomini plenum dominium habeant in hac re; ut enim legimus in iure romano, L. Si ut certo, 5, § 15, D. Commodati, XIII, 6: «Celsus… ait duorum in solidum dominium vel possessionem esse non posse; nec quemquam partis corporis dominum esse, sed totius corporis pro indiviso pro parte dominium habere». Res ergo ad condominos pertinet in communi, seu potius in indiviso, et pro partibus potius intellectualibus quam corpolaribus».

[13] Cf. L. Fascione, Storia del diritto privato romano, Giappichelli, Torino, 2012, p. 305.

[14] Per comodità di lettura, si riporta il testo originale e la traduzione indicate da L. Fascione, Storia del diritto privato romano, op. cit., p. 305.

[15] Coram Many, sent. diei 2 iunii 2016, op. cit., p. 161, n. 3: «Quo in casu, nullus condominus disponere potest de re, aut de aliqua huius rei corporea parte, sine consensu aliorum, licet, possit vendere aut quovis modo alienare suam quotam partem indivisam aut intellectualem (cf. Serafini, Diritto Romano, § 59). Unde ius singulorum condominorum in re indivisa restringitur ex ipso iure aliorum condominorum».

[16] Pius XII, Ad Praelatos Auditores ceterosque Officiales et Administros Tribunalis S. Romanae Rotae necnon eiusdem Tribunalis Advocatos et Procuratores, in Acta Apostolicae Sedis 37 [1945], p. 257).

 

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