Detrazioni fiscali per le ristrutturazioni anche al convivente, nuove regole per la disciplina condominiale: facciamo il punto sulle novità a tema edilizia introdotte dalle legge sulle unioni civili

1. Detrazioni fiscali per le ristrutturazioni
La Legge n. 76 del 20 maggio 2016, recante “Regolamentazione delle unioni civili tra le persone dello stesso sesso e la disciplina delle convivenze”, pur non equiparando la convivenza di fatto all’unione fondata sul matrimonio, ha attribuito valore giuridico alle convivenze di fatto more uxorio, definite come quelle situazioni in cui due persone maggiorenni, anche dello stesso sesso, sono unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da unione civile.

La legge stabilisce che:
• le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole coniuge, coniugi o termini equivalenti, ovunque ricorrano nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile;
• le agevolazioni e gli oneri fiscali che derivano dall’appartenenza a un determinato nucleo familiare vengono estesi alle parti dell’unione civile.

Sulla base di tale assunto, la risoluzione dell’Agenzia delle Entrate 28 luglio 2016, n. 64/E, rilevando un “legame concreto” tra il convivente more uxorio e l’immobile destinato a dimora comune, chiarisce che le detrazioni fiscali del 50% a valere sull’Irpef spettano anche al convivente che sostiene le spese per le ristrutturazioni edilizie e gli interventi di recupero del patrimonio edilizio sull’abitazione oggetto della convivenza.
In caso di interventi di recupero del patrimonio edilizio, il convivente non proprietario dell’immobile oggetto degli interventi medesimi che ne sostiene i costi può fruire della stessa agevolazione spettante ai familiari conviventi, anche se non è titolare di un contratto di comodato. Infatti, la disponibilità dell’immobile da parte del convivente risulta insita nella convivenza stessa, senza necessità che trovi fondamento in un titolo contrattuale.

2. Disciplina condominiale
La legge n. 76/2016 introduce due nuove forme di unione quali specifiche formazioni sociali, che rilevano anche nell’ambito del condominio. L’amministratore del condominio dovrà considerare anche le coppie legate da unione civile e quelle regolate da rapporto di convivenza ai fini della tenuta del registro di anagrafe condominiale (Legge n. 220/2012) e per la convocazione alle assemblee.

Anagrafe condominiale
Tra i nuovi compiti che il novellato art. 1130, n. 6) Cc attribuisce all’amministratore vi è quello di curare la tenuta del registro di anagrafe condominiale, che deve contenere le generalità dei singoli proprietari e dei titolari di diritti reali o di diritti personali di godimento – quali i conduttori o i comodatari di unità immobiliari nel condominio – comprensive del codice fiscale e della residenza o domicilio, i dati catastali di ciascuna unità immobiliare, nonché ogni dato relativo alle condizioni di sicurezza delle parti comuni dell’edificio.

Il condomino, da parte sua, deve comunicare all’amministratore ogni variazione, in forma scritta ed ante entro sessanta giorni: in caso di inerzia, in mancanza o in presenza di dati incompleti, l’amministratore deve richiedere con raccomandata le informazioni necessarie alla tenuta del registro di anagrafe. Se, nonostante ciò, la risposta del condomino non pervenga o sia incompleta, l’amministratore è legittimato ad acquisire le informazioni necessarie addebitandone il costo ai responsabili.

Convocazione all’assemblea
Tutti gli aventi diritto, cioè i proprietari e i titolari di diritti personali di godimento, devono essere convocati all’assemblea condominiale dall’amministratore o da almeno due condomini che rappresentino un sesto del valore millesimale, con avviso da comunicare a ciascuno di essi almeno cinque giorni prima della data fissata per l’adunanza. La mancata convocazione può comportare l’annullabilità delle delibere.

Tra gli aventi diritto, oltre al proprietario di una unità immobiliare sita in condominio, vi è anche il titolare di un diverso diritto reale che sorge da situazioni personali che implicano necessariamente una relazione con il bene casa quale luogo di realizzazione e svolgimento della vita familiare.

Il regime patrimoniale dell’unione civile, in mancanza di diversa convenzione, è costituito dalla comunione dei beni, pertanto, i soggetti uniti civilmente sono considerati a tutti gli effetti comproprietari con diritto di voto vincolante anche per l’altro comproprietario.

L’avviso di convocazione dovrà quindi essere indirizzato ad entrambi i componenti dell’unione civile (al pari dei coniugi in regime di comunione), anche se solo uno dei due potrà partecipare ed esprimere il proprio voto. La prova della valida convocazione può essere fornita anche attraverso la presunzione che l’avviso inviato ad uno dei componenti della coppia, coniugi o uniti civili, sia giunto a conoscenza dell’altro.

Se la coppia unita civilmente conduce in locazione un’unità abitativa ubicata in condominio, il proprietario condomino/locatore che riceve la convocazione è tenuto ad informarne il conduttore, il quale ha diritto di partecipare all’assemblea condominiale in sostituzione del proprietario/locatore, con diritto di voto sulle delibere concernenti le spese e le modalità di gestione dei servizi di riscaldamento e di condizionamento d’aria; senza diritto di voto, sulle delibere concernenti la modificazione degli altri servizi comuni.

Decesso del proprietario
Il convivente non rientra tra i successibili ex lege e potrà maturare diritti sulla casa di residenza comune di proprietà del partner, come sugli altri beni del partner, solo se è indicato quale erede testamentario e sempre che, in presenza di eredi legittimari, tale disposizione sia nei limiti della quota disponibile. Tuttavia, in caso di morte del proprietario della casa di comune residenza, il convivente di fatto superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni. Se nella casa coabitano figli minori o figli disabili del convivente superstite, il medesimo ha diritto di continuare ad abitare nella casa comune per un periodo non inferiore a tre anni.

Nei casi di morte del conduttore o di suo recesso dal contratto di locazione della casa di comune residenza, il convivente di fatto ha facoltà di succedergli nel contratto.
I conviventi di fatto possono disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune con la sottoscrizione di un contratto di convivenza che può contenere: l’indicazione della residenza; le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune, in relazione alle sostanze di ciascuno e alla capacità di lavoro professionale o casalingo; il regime patrimoniale della comunione dei beni.

Il contratto deve essere redatto in forma scritta a pena di nullità, con atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione autenticata da un notaio o da un avvocato che ne attestano la conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico. Per essere opponibile ai terzi – e dunque anche all’amministratore del condominio – il contratto di convivenza deve essere, a cura del professionista che ha autenticato le sottoscrizioni, entro dieci giorni trasmesso al comune di residenza dei conviventi per l’iscrizione all’anagrafe.

Fonte INGEGNERI.info /edilizia

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